Sbarco a Spalato

Avvicinamento da prua al molo, senza ormeggiare (drop-and-go). Zaino in spalla, nel quale ho tutto quello che mi serve, devo scendere e fare il biglietto per la motonave con cui rientrerò fra poco.

Con un passo, solo mezzo salto che non dura niente, passo in un secondo da un mondo a un altro, tutto diverso. Noto che la mia ombra ora si disegna sulla pietra, e mentre alzo gli occhi lentamente verso la città, il rumore di fondo aumenta fino ad un livello inatteso. Dall’accogliente universo-Shasa, spazialmente delimitato ma moltiplicato dal suo essere popolato di confortevole amicizia, mi ritrovo nel mondo caotico di Spalato in piena stagione estiva, sconosciuto quindi immenso, nel quale mi scopro istantaneamente solo.

Rivedrò i miei compagni più tardi per un’altra pivo, ma qui e ora sono completamente solo, abbandonato, e ancora solo sarò nei prossimi giorni. Mi sento sprofondare in un isolamento improvviso, comunque positivo, ma assoluto e spiazzante per quel salto appena fatto. Per quel confine valicato in un secondo, che è tutto lì, ancora visibile in tutta la sua tagliente semplicità mentre Shasa si allontana.

Il confine che sta tra la solida pietra del molo e l’imprevedibile risacca. E solo ora mi accorgo che, come un marinaio d’altri tempi, su quella linea di confine non mi sono mai voltato per dare un ultimo sguardo a Shasa.

 

Pencil

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