Il più classico dei souvenir non è niente più che un oggetto squallido, amorfo e perfettamente inutile, che compri quasi sempre per regalarlo ad altri. Allontanando così da te la scomoda testimonianza di quanto poco tu e il luogo in cui sei stato vi siate compenetrati e compresi.
Le poche cose che ho riportato con me dalla Croazia 2014 sono invece dei souvenir abbastanza perfetti, perché sono “oggetti” miei, che uso quotidianamente, e che non avranno vita eterna, e anzi invecchieranno, smetteranno di funzionare e quindi di esistere. Ma finché ci saranno, continueranno a ricordarmi quei luoghi, e ogni ora passata laggiù.
Uno: Pacchetti di sigarette Camel gialle. Uguali aquelli che compro in Italia, ma l’avvertimento del ministero della salute recita “Pusenje ubija”. Lo ammetto, i pacchetti di una stecca sono finiti relativamente presto, ma ora quando ne apro uno normale, comprato qui, nella mia testa la mia voce ripete ancora “Pusenje ubija!”. E credo che continuerà ancora, finché non smetterò di fumare.
Due: Accendino blu “Croatia”. Comprato per necessità a Spalato prima di rientrare, non funziona bene ed è abbastanza squallido e kitsch, ma l’ho scelto proprio con attenzione. Dietro la scritta “Hrvatska” si intravede un panorama ripreso da un’isola. In basso, un prato incolto ingiallito e un muretto a secco. E sopra, nel mare, una barca a vela, di 10-11m. Ogni giorno, per almeno una decina di volte, rivedo quella barca.
Tre: L’abbronzatura. Il sale è stato lavato via dalla mia pelle e dai vestiti nel giro di pochi giorni. Ma l’abbronzatura resiste. Cercata all’inizio con riluttanza a suon di crema protettiva, poi desiderata sempre più intensamente. Ora me la porto addosso con fierezza. No, non per cafona ostentazione di vacanza-mare-sole (tiè! Ora ce lo sai che so’ annato ‘nferie!), ma come fatto del tutto personale. Mi infilo i sandali, e la pelle scura del dorso dei piedi mi ricorda le botte sugli spigoli traditori di Shasa. Batto sulla tastiera, e la linea di galleggiamento tra dorso e palmo delle mani mi dice: “Ecco, è lì che tenevi una Karlovachko”.
Quattro: Mal di schiena, un souvenir quasi cronico. La lombalgia è arrivata piano a bordo. Appariva solo la mattina in cabina appena sveglio, facevo un bagno e se ne andava. Ma il sedersi in pozzetto e qualche sforzo male impostato hanno fatto il resto ed è diventata quasi costante, ma discreta e sopportabile. Ma la notte di rientro in nave invece, come un rito vudù, l‘ha trasformata, dandogli vita propria. E Maldischiena è diventato un personaggio vivo. Ben più che “fastidioso”, petulante e invadente, se ne sta costantemente attaccato al mio dorso, come il pappagallo Flint sulle spalle del pirata Long John Silver.
Dialettica della memoria. Magnifique!