Siamo a bordo da qualche giorno, vacanza e relax. In mare, durante un trasferimento, troviamo un po’ di vento. C’è chi si attiva, srotola il genoa, mette a segno le vele e Shasa inizia a correre superando i 6 nodi.
Intanto a bordo siamo tutti indaffarati a non fare niente più di quello che vogliamo. P. Fabrizio ed io ci scambiamo qualche aneddoto; le bimbe, che hanno smesso di giocare in disparte, si inseriscono e i nostri discorsi deviano e si allargano, senza una meta e senza una rotta prefissate. Escono una pivo, pane e un pezzo di formaggio. Il tempo passa e la conversazione è sempre più rilassata e amichevole, così come quei pochi silenzi, quando arrivano.
Poi il mio cervelletto mette a fuoco due cose e scatta: il vento è cambiato, abbiamo perso tre decimi di nodo, il genoa non è a segno, allarme, allarme!
Ma io, niente. Resto fermo. Continuo a conversare amabilmente del più e del meno, al massimo potrei allungare una mano alla scotta della randa, ma magari anche no, dovrei spostare il formaggio, magari faccio cadere la lattina di Karlovachko, e poi dai, continuiamo a goderci questa navigazione tranquilla.
Tutto questo per dire che ho realizzato che posso serenamente tenere a freno la mia voglia di vento, il desiderio di sentire le scotte che sudano grugnendo sui winch, quella smania collettiva di velocità che abbiamo in regata. Dovrei stentare a crederlo, se fossimo in Invernale. Ma ora non ho alcuna difficoltà a cambiare le mie priorità e la mia natura. Conta di più stare tutti insieme a cianciare o a passare le ore in pozzetto.