Una parte del tutto ha avuto inizio quel giorno, un giorno preciso.
Il 25 aprile 2010 festeggiamo la Liberazione nei luoghi partigiani dell’Appennino Bolognese. Scegliamo Sasso Marconi, località Fosso Raibano, dove c’è una gradevole area ombrosa non attrezzata ma accogliente, ai piedi di una delle due falesie bolognesi (l’altra è Badolo, l’unica rimasta dopo la chiusura di Fosso). Il marito di P., l’amica del mio Vero Amore, vuol provare ad arrampicare ed io, che non ho mai fatto seri progressi e quindi sono rimasto “al traino” di tutti i miei compagni dei corsi CAI, sono ben contento di trovare un nuovo compagno di cordata, un principiante come me, che lo sono ormai da diversi anni.
Lui, il marito di P., è Fabrizio.
Di quella giornata voglio riportare alcuni strali, che negli anni seguenti hanno significato molto per tutti noi e che oggi penso siano stati tutti dei vergognosi colpi di fortuna. Perché quello che successe a Fabrizio quel giorno in parete, successe a me un paio d’anni dopo, quando mi fece salire su Shasa per la prima volta.
Faccio la parte dell’istruttore. Faccio di tutto per trasmettere a Fabrizio le procedure e gli accorgimenti per garantire, sopra ogni cosa, la sicurezza di entrambi. Lo faccio con calma e precisione, ripetendo a lui quello che ripeto a me stesso ogni volta che mi lego a una corda in parete. Questa mia cura e metodicità in qualche modo devono averlo colpito. In parete come in barca, l’imperativo è lo stesso: “Fai tutto ciò che devi, e fallo sempre nello stesso modo, come ti è stato insegnato”
Dopo la sua prima salita, calo Fabrizio. Ma non è come fanno i Nocs o la Swat prima di sfondare le finestre. In parete chi sta a terra “a fare sicura” cala lentamente l’arrampicatore, dandogli il tempo di “camminare all’indietro” per non perdere l’equilibrio e sbatocchiare sulla roccia (non ci sono parabordi). Fabrizio invece fa il prodiere, ed era abituato a essere calato dalla testa d’albero in modo decisamente meno piacevole. Una volta a terra mi dice sorridente che apprezza, molto.
Fabrizio scopre che gli piace arrampicare. Come ogni climber, se ne sta lassù a sudare, perdendo energie anche solo “riposando” mentre cerca di capire come continuare a salire. Si ripetono i consigli di ogni volta (quelli che poi, se non c’è qualcuno a darteli da terra, fai da te): sposta il peso, alzati un po’, prova a vedere se la scarpetta tiene, non tirarti su a braccia, riposati e guardati intorno, tieni sempre tre punti di contatto con la roccia, fidati dei piedi, respira! È tutto ciò che pensi e fai, lassù, svuotato da altri pensieri perché nella tua testa altro non troverebbe spazio.
Da quel giorno arrampicheremo spesso insieme. È un modo di passare il tempo insieme all’aperto non solo piacevole: tra una via da tirare, una chiacchiera, qualche soluzione e manovre nuove da imparare, tra compagni di cordata prende silenziosamente forma un legame che è basato sulla fiducia incondizionata nell’altro, che si rinnova ogni volta che dai corda nel modo giusto, ad ogni “Blocca!” tempestivamente assecondato, ad ogni miglioramento condiviso… Ovviamente, nel giro di un anno Fabrizio ha iniziato a tirare i “6a”. Io continuo come sempre a cagarmi sotto per tirare un “5b” sovrastimato. Ma non chiedo altro. Mi basta poter fare questa cosa priva di utilità al mio meglio, e soprattutto farla con un buon amico.
Diversi mesi e molte arrampicate dopo, Fabrizio stava per rilevare tutte le quote del Shasa, e pronunciò una frase che mi è rimasta scolpita in testa come le tacche di Badolo: “Tu mi hai fatto scoprire quanto è bello arrampicare! Il minimo che possa fare per ringraziarti, è portarti un po’ in barca”.
Da quel giorno arrampichiamo molto meno, e io ho iniziato a chiamare cime le corde, testa d’albero le cime, e panna le soste.
L’unico rimpianto: La Corda Più Bella Del Mondo, che non c’è più (qui ci univa a Fosso).
Buon 25 aprile!
Una differenza abissale divide il mare e la montagna (Lapalisse…).
E un’identica, estrema cura/attenzione, generata dall’umiltà di chi sa qual è il suo posto, accomuna chi si dedica all’uno come all’altra; farsene reciproco e prezioso dono mi pare il massimo.
Provai arrampicata e vela, la prima mi piacque assai, la seconda meno, credo fosse il mio individualismo, oltre alle craniate sul boma.
Io invece ho preso più craniate in parete (non sul boma) che in barca. Ma il giorno che la prendo in barca, la sentirai fin lì!