Che figata, oggi è la tua Prima Volta su una barca a vela. Siamo abbastanza certi che non te la scorderai, ma non vogliamo nemmeno opprimerti rovinando la magia che (forse) sta nascendo e che (visto il tuo sguardo) forse stai intuendo. Ultimamente Shasa ha tenuto a battesimo del mare due giovani nipoti e confrontarci con loro ci ha permesso di trovare spunti interessanti, tra condivisione, pedagogia e magia.
Prima il nipotone Ben, poi il nipotastro Erri, entrambi sono saliti a bordo con grande voglia di provare a navigare e di scoprire se quello che avevano sentito raccontare dal (troppo) loquace zio marinaio in montagna poteva anche solo lontanamente avvicinarsi alla realtà una volta che si fossero trovati in mezzo al mare.
Per entrambi ci sono stati diversi elementi di disturbo la sera prima. Per il ventenne Ben, che avrebbe partecipato alla nostra unica regata dell’Invernale 2015/2016, il rito della selezione di un abbigliamento adeguato in risposta alle terrorizzanti previsioni dello zio (“Prendi anche un’altra sottomaglia calda, in mezzo al mare col vento sentirai un freddo che non hai mai sperimentato in vita tua!”). La cosa ha certamente distolto l’attenzione dal senso di quello che ci apprestavamo a fare, soprattutto da parte di zio J, che ha tralasciato di condividere alcuni fondamentali e necessari punti di riferimento prima di salire in barca, soprattutto considerando che si andava a regatare: bordi, vele, manovre, ruoli, campo di regata…
A disturbare Erri, col quale era in programma una semplice ma molto attesa uscita, sarà stata al contrario l’immane quantità di nozioni tecniche sbrodolate da zio J. Nozioni che a un sedicenne possono far certamente molto piacere (soprattutto perché comunicate con l’ausilio di un noto e realistico videogame simulativo) ma che hanno tolto ogni spazio al lato oscuro della vela, la poesia della triade mare-barca-vento, la magia di andare a vela (a vento!) in orizzonti sconosciuti, il sentire il vento…
Ma, nonostante tutti gli errori commessi nel prima, Shasa ha sempre e comunque avuto modo di rimediare, offrendo ai due neofiti un battesimo (pare) godibile.
La regata di Ben è andata molto (ma molto) bene. Nonostante i ritmi forsennati imposti da Fabrizio, che hanno costretto lo Shasadreamteam a manovre indemoniate, Ben ha avuto il suo posto da apprendista randista, che gli ha contemporaneamente garantito il tempo di guardarsi attorno e respirare mare, adrenalina e comunione da equipaggio-ingranaggio. Gli occhi bellissimi di Ben a fine regata si fondevano con l’orizzonte del mare d’inverno, coi suoi fratelli d’equipaggio, e con una nuova consapevolezza.
Con Erri abbiamo veleggiato amabilmente sotto un bel vento, con la garanzia di tempi “comodi” in manovra e senza ansia da prestazione. Non posso descrivere la reazione di Fabrizio quando, una volta ceduto il sacro timone al nipotastro, ha visto spuntare sul suo volto la stessa espressione da barca che ha lui (il Capt.) quando timona. Dopo i primi 10′ per capire la reazione barra-timone-direzione, Erri era perfettamente a suo agio. Taciturno (come da programmazione genetica) ma non sordo, ha portato tutti dalla sua.
Ci sono stati alcuni esiti positivi che, seppure a bordo non siano mai stati detti né con l’uno né con l’altro, entrambi hanno probabilmente colto, e ai quali accennare (dovere di zio).
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La bellezza della curiosità: poter trasmettere quello che sai, per quanto poco sia, è una grande soddisfazione, e avere a che fare con la curiosità altrui (non solo dei giovani) è uno stimolo fondamentale per continuare ad essere curiosi e coinvolti. È la curiosità che ci salva, perché genera il desiderio di migliorare sempre, ancora. Solo perché è un animale dannatamente curioso, Fabrizio ha ridotto i pesi di qualche etto sostituendo i trefoli in acciaio con il Dyneema. La bellezza della curiosità è poi nella semplicità delle domande che ti vengono poste e nel fatto che tu (fortunato!) devi dare risposte magari non semplici ma che devi sforzarti di rendere tali. La bellezza della curiosità quando, poi, ti ritrovi a pensare “Cosa sta pensando, come se la sta vivendo, qui e ora, un sedicenne?”
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L’uguaglianza nel bene e nel male: a bordo di Shasa siamo tutti uguali. Ognuno ha il suo ruolo (compresi i “passeggeri”), ma è appunto solo un ruolo, è solo operatività (chi decide dove andare, chi timona, chi pensa alle vele, chi esce la birra, chi può fregarsene di tutto, ecc.). Te ne rendi conto, che siamo tutti uguali, quando ci scopriamo tutti stretti attorno alle gioie, ai bisogni e ai malesseri degli altri, pronti a prendere in mano la situazione, a fare o non fare. Non importa che siano giovani, adulti, passeggeri, marinai o capitani. Fabrizio a questo fine con chiunque sia mai salito a bordo ha sempre fatto e continua a fare un (non) lavoro perfetto per mettere tutti a proprio agio (che fa anche a terra).
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L’importanza di raccontare e di informare: soddisfare la curiosità altrui (specie quando è molta) è un privilegio. Ma bisogna anche coltivarla, aiutando chi sta imparando ad acquisire le informazioni giuste con i tempi giusti e se possibile sperimentando. Come ha fatto Fabrizio con me a suo tempo, l’ideale è dare un’informazione per volta, con precisione e senza esagerare: prima il minimo indispensabile, e poi si aggiunge progressivamente quello che serve per migliorare. Contemporaneamente, dobbiamo trattenerci dal riversare sull’altro un eccesso di nozioni, che avrebbe come conseguenza il rischio di confonderlo o allontanarlo.
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Il peso del silenzio: anche chi sale in barca per la prima volta ha bisogno di stare un po’ per conto suo, svincolandosi dal resto dell’equipaggio. Per guardare il mare dalla barca, per guardare gli altri sulla barca e, non ultimo, per provare a vedere sé stesso lì su una barca in mezzo al mare, per prendersi le misure, tastandosi muscoli e spirito in questa situazione nuova.
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Lo sguardo dei battezzandi: è impagabile il poter ritrovare immediatamente negli altri (nei neofiti) lo stesso sguardo che abbiamo noi mentre navighiamo, quella stessa voglia di orizzonti infiniti, quando puoi quasi vedere l’anima uscire dagli occhi e protendersi verso il mare, cercando di respirare sale, vento e buona andatura.
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Rivedersi: come succede sempre quando si sta coi (molto) “giovani”, nel bene e nel male hai l’opportunità di rivedere te stesso quando avevi la loro età. Ritorni a quando eri un pischello che per sopravvivere si fingeva più grande di quanto non avrebbe voluto essere, che cerca la breccia giusta per entrare furtivamente nel mondo degli adulti. Stare con gli altri fa bene!