[Finita una vacanza in barca, capita a tutti di dover tornare, e a molti di farlo in nave]
Spalato. Lasciata Shasa, inizio il rientro in Italia. M’imbarco con un po’ di anticipo sulla motonave. C’è ancora il sole, basso, a illuminare Spalato, e io prendo posto su una panchina a poppa, ponte 9, con vista a picco sui pontoni di carico, e ci resterò per le prossime 3-4 ore.
Si imbarcano le ultime auto, poi pochi camion, dei passeggeri a piedi ritardatari, intanto il tempo si dilata, la partenza sembra non arrivare mai. Altri ritardatari, mentre alcune cime d’ormeggio vengono recuperate, il mio sguardo è attratto da tutto. Dalle procedure di partenza come dalla città, sbattuta lì in faccia, contro un cielo azzurrissimo pennellato da nuvole alte nelle quali riconosco una fenice (o uno pterodattilo) che abbraccia un cane alle spalle (che sia Shasa su di me?). Partiamo mentre il sole è appena sparito alle mie spalle e Spalato si accende piano di luci proprie, il mare diventa nero, lentamente a dritta appare nella penombra il Marina, nel quale mi è impossibile ritrovare Shasa. E lentamente ci avviamo al passaggio davanti a Brac, proprio dove oggi abbiamo fatto vela (“Jac, diamo spi!”), e poi ancora, verso il mare aperto. La super-Luna sorge dietro il profilo delle colline a Sud Est. Immensa e inattesa, solo oggi mi accorgo che finalmente è piena (quando partimmo era una falce).
Il mio distacco dai giorni passati su Shasa è lento, almeno quanto vedere i luoghi che ho appena conosciuto perdersi dietro questa nuova scia. Da quando sono a bordo di questa panchina balconata leggo, sbocconcello qualcosa, bevo (ancora, ero disidratatissimo), fumo, e guardo davanti a me, verso un paesaggio che si allontana da poppa, oltre questo palco proteso sul mio appena-passato. Ho abbandonato un universo per un altro, ed entrambi sono lontani. Mi sento sospeso, e ancora intensamente pervaso dalla solitudine. Mi sento solo, sono solo, perché non ho più i miei amici attorno, sempre e comunque; perché la mia A. è ancora molto lontana dalla mia prua; perché ho mollato tutta la meravigliosa concretezza di questi giorni a vela per tornare a lavorare in uno studio deserto, ove sarò sopraffatto dalle cose da fare tra solo 12 ore; perché su questo piroscafo non conosco e non voglio conoscere nessuno, ma solo prolungare questo distacco dilatato, sospeso e lunare, sulla mia nave intergalattica.
Mi perdo nell’assenza di ogni cosa, e realizzo che sono rimasto praticamente solo qua fuori, attorno è buio e solo mare aperto, così entro a cercarmi un posto da passaggio-ponte. Scopro che gli spazi comuni a bordo di questa motonave sono pochi (ci sono molte cuccette) e intorno a me sono tutti occupati, oppure fortemente disturbati dal clima da piano-bar e crociera (doppiamente finto, non siamo in crociera!). Ma trovo un’area deserta, vicino ai bagni, con tavolini e “divanetto” lineare lungo la murata sul quale mi allungo a leggere, aspettando che il sonno mi prenda.
Solo 35cm di larghezza e con imbottitura minimale (ok, è una panca, lo capisco troppo tardi), poco dopo le mie vertebre urlano ogni mezz’ora. Sarà una notte infernale, ma comunque calma, solitaria e sospesa, in vero stile “lungo addio”. E il Mal di schiena (Maiuscolo!), che mi porto ancora addosso, un vero souvenir.