Pescare alla traina

Per quest’anno abbiamo comprato un set canna+mulinello e svariate esche artificiali. Ad ogni partenza, dopo aver sistemato la coperta (e nel caso dato vela), caliamo la traina, nella speranza davvero poco convinta di veder abboccare uno sgombro, una palamite (sarda sarda), un sugarello, financo un tonnetto alletterato. Con il terrore recondito che una lampuga o un tonno strappino via tutta la nostra attrezzatura low-cost…

Ci ingegniamo provando tutte le possibili combinazioni. Prima più piombo per stare a fondo, poi meno, più o meno lenza filata, e poi esche a cucchiaino, pesce artificiale saltellante (rapala), pescetti in silicone argentati. Recuperiamo ogni tanto, per vedere se c’è ancora l’esca, e troviamo il filo arrotolato, allora mettiamo più girelle.

Perdiamo un cucchiaino, allora mettiamo più attenzione a fare il “nodo girella”. La frizione sfriziona oppure tace a lungo, così periodicamente e ad ogni cambio di andatura ci diamo dentro di “fine tuning”. Sempre, chi passa vicino alla canna, mette una mano al mulinello.

Ogni giorno diverse manciate di minuti passano parlando della traina, rifacendo le montature e sostituendo le esche. È una cosa che occupa il tempo, non impegna che pochi neuroni e rinnova la suspense di quella cattura che ancora non è arrivata ma che, col passare del tempo, il tuo retro-pensiero inizia a ritenere sempre più imminente.

E alla fine, zac! Ci siamo!

E l’amo del pesciolino saltellante mi arpiona felice il fianco dell’indice. Il non così raro pesce coglione.
Giusto il tempo di pensare DOLORE! (per fortuna l’amo non ha l’ardiglione). E poi, niente.

Finché ero a bordo io, 300 miglia percorse in 11 giorni, e non una toccata.

Per quanto ci diamo da fare, e per quanti pesci ci siano nel mare, certe volte non c’è niente da fare. Non puoi improvvisarti in un ruolo che non è il tuo, fingere non porta risultati.

 

[Per approfondire pesci, teoria e tecnica della pesca al traino: l’angolo della pesca di CapitanSimon]

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