Mentre andiamo per mare ci succedono un sacco di cose che hanno a che fare con la gioia, il piacere di stare insieme, lo spazio intorno e lo spazio a bordo, lo svuotare la testa dai pensieri, ecc. E il mondo cambia non appena metti piede su Shasa, senza necessariamente uscire in mare.
Come sempre, quando hai la mente in “vacanza”, nei 10 giorni di crociera croata come in una misera mezza giornata di regate, muta anche la tua percezione dello scorrere del tempo. Appena salgo a bordo scendo sotto coperta e ripongo il telefono, e spesso anche l’orologio, per potermi godere così ogni istante senza dover pensare indirettamente a quanto manca. In crociera smetto di contare i giorni dopo il secondo, ed è bellissimo non sapere da quanto sei lì o quando tutto, tuo malgrado, finirà.
Di notte in traversata (Ne parlammo qui), lo spazio infinito nel quale Shasa è immersa si traduce anche in tempo infinito. L’orologio ce l’hai, serve per fare il punto, ma è solo un numero da scrivere sulla carta nautica. Quello che muta è la durata dei giri delle lancette. Lo scorrere di un’ora lo conosciamo bene, non è solo fatta di “60 minuti”, ma è un’ora di lezione, una puntata di telefilm, mezza partita di calcio con intervallo, una riunione ben condotta. A bordo, di notte in traversata un’ora è solo il momento in cui devi scendere a fare il punto, ma non misura il passare del tempo, non ne misura la durata. Sei perso nel silenzio, in uno spazio vuoto a perdita d’occhio, e questo si trasforma in uno spazio-tempo vuoto. Dove anche il tempo non è misurabile. Ti ritrovi a non pensare niente per istanti interminabili oppure chiacchieri ininterrottamente per quelle che ti sembrano mezze giornate, eppure, non sapresti dire quanto è passato. Spesso ti perdi concatenando pensieri elementari e sconnessi (tipo questi) che non riusciresti a riprodurre su una mappa, ma in termini di tempo terrestre sarebbero passati solo poche manciate di secondi o un paio di minuti, mentre il tempo a bordo di Shasa ti garantisce che quelle siano sessioni complete, ore e ore di pensieri guadagnati e messi da parte. Una visione istantanea (ad esempio un delfino che salta affiancato alla prua) ti riempie la giornata più di un lungo pranzo della domenica, eppure è una cosa che si svolge in pochi istanti.
Tempo e velocità. Arrivare a Susak da qui a motore, fai un rapido calcolo, ok: poco più di 2 ore. Poi magari dai vela, la velocità aumenta, e non sono più 2 ore. Ma mentre sei lì, diresti che quelle 2 ore durano mezze giornate. Perché la velocità in quanto tale (come il tempo) perde di senso: non puoi chiudere un recinto intorno al tempo quando attorno a te lo spazio è infinito e quel recinto non ti è di alcuna utilità. E tu sei talmente lontano che non ne consideri neanche la possibilità di esistenza, di quel recinto attorno al tempo.
Di notte in traversata, specialmente se non c’è luna, non esistono secondi, mezzore, ore o quarti d’ora. Esistono periodi di tempo di durata indefinita, dei puri click di tempo che poi semmai puoi raggruppare in fasi: “Durante il tramonto” precede “Quando era tutto buio e Fabrizio era sveglio”, poi si passa a “Quando ho visto quelle tre stelle cadenti” e poi “Quando Fabrizio dormiva e c’erano quei contatti strani”, poi a “Quando stava facendo chiaro e ho recuperato la traina”, poi a “Quando abbiamo mangiato biscotti bevendo the freddo”, “Quando abbiamo dato vela” e così via.
Il mal di terra di cui soffrirai non sarà dovuto, forse, solo al dover riadattare gli organi dell’equilibrio all’immobilità del suolo. Mi piace pensare che sia anche una conseguenza della difficoltà di riprendere un orientamento passando dal tempo a bordo di Shasa al tempo terrestre.
Questa semplicità nella misurazione del tempo giornaliero a bordo (banalmente scandita in maniera primordiale: albeggiare>sole>sole a picco>sole caldo>tramonto>sera>notte) ti porta a godere dei momenti speciali con una maggior intensità, e a perderti, ma perderti davvero, nei periodi di far niente. Così ti porti a casa una settimana che sembra durata un mese. O mezza giornata che sembra un week-end. Dopo, quando avrai re-indossato l’orologio, non sarai un uomo necessariamente migliore, ma certamente più felice.
È un gioco win-win. Se riesci a perderti davvero, e a farlo anche nel tempo, non puoi perdere. Puoi solo vincere.
Ovvero la relatività dello spazio-tempo ripensata con la mente dopo averla vissuta attraverso i sensi, ben accesi, anche quelli che in terra uno magari non sa neanche di avere; quasi un piccolo viatico verso il centenario imminente della pubblicazione delle “quattro brevi pagine di quello che sarebbe diventato il nucleo della teoria della relatività generale”: forse non è un caso che lo sport preferito di Einstein fosse andare in barca a vela perchè, udite udite, lo aiutava a pensare (!), oltre ad essere “l’unico sport che non richiede alcuno sforzo fisico”, così disse. Per la cronaca, ma anche per la storia, la sua barchetta si chiamava “Tümmler” (“focena”, una specie di piccolo delfino), e nel ’33 i nazisti gliela confiscarono.
Invece, difficile a credersi, ma l’immenso Einstein non sapeva nuotare… nobody’s perfect!
Beh, neanche noi siamo tanto bravi in matematica!
😉
Primo! 😉