Mettiamo piede in barca e lo scorrere del tempo dentro di noi cambia (ne parliamo qui), cambia il modo di dormire (qui), cambia lo spazio attorno (qui e qui) e contemporaneamente e forse per tutti questi fenomeni insieme smettiamo di fare quelle cose che a terra ci legano e ci obbligano ad una vita regolata, scandita dai doveri, dove il quotidiano rischia di essere vissuto come un mezzo per la conquista di pochi e insipidi momenti di libertà.
Sono cose già raccontate, note a chiunque non sia più un bambino, ma… Appena metti piede in barca tutto il resto scompare, conquisti una libertà vera e smetti di fare certe cose.
Smetti di pensare alle cose che devi fare “dopo”, smetti di contare i minuti che mancano a stasera, e quelli che mancano alla prossima scadenza. Ogni istante è prezioso, anche quando è vuoto e apparentemente insignificante. E quindi non ti serve sapere quanti minuti ti rimangono ancora, possono essere infiniti, devi solo goderteli uno ad uno. Per questo lascio telefono e orologio in un cassetto appena metto piede su Shasa. Le “cose da fare”, le scadenze che avevi (e che avrai ancora a terra, quando sarai sbarcato) restano lì, intanto ti godi questa parentesi di mare. Il resto, adesso, non conta.
Smetti di muoverti lungo le rotaie casa-lavoro senza accorgerti di quello che succede intorno. Non hai destinazioni predeterminate, non hai itinerari predefiniti. In barca puoi andare (letteralmente) dove ti pare, seguendo la rotta che vuoi! [sempre e solo se il vento te lo consente…]
Smetti di filosofeggiare sul nulla. Perchè la barca è un oggetto profondamente concreto, non c’è divino in mare, ma solo umanità vera, profonda, che non si può nascondere. È questa umanità esasperata, da marinai, che ha dato vita alle superstizioni e ai riti pagani che mescolano materia e religione (ad esempio far benedire le barche, scrivere il nome della barca vecchia sull’ordinata di quella nuova, o usarne le ceneri per calafatare la nuova), alle invocazioni di buon augurio. Ma la fortuna degli uomini in mare è determinata solo da acqua, cielo e vento, e a proteggerli ci sono solo la resistenza dello scafo, la tela delle vele, e soprattutto la loro stessa intelligenza.
Smetti di contare i denti ai francobolli. (Fabrizio De André, La bomba in testa). Quando ogni momento è fonte di grande soddisfazione e ti riempie, non c’è noia, non c’è tempo vuoto da riempire. Ogni piccolo lavoretto (a bordo non mancano mai) è sia un hobby cui dedicarsi con leggerezza e piacere gratuito, sia una necessità concreta che ti assorbe completamente.
Smetti di aver paura dei momenti vuoti e dei silenzi troppo lunghi (qui). In barca riscopri il senso delle amicizie più profonde e spontanee, quelle che ti fanno amare visceralmente ogni momento di condivisione e che ti fanno rispettare la riservatezza altrui. Perché davvero fai con gli altri quello che vorresti fosse fatto con te.
Smetti di controllare lo smartphone ogni 10′ per riempire il tempo. La “rete” è tutta attorno a te, una rete fatta di equipaggio e compagni di viaggio, di altre barche, di isole intorno, di persone che compaiono dal nulla, quando scendi a terra (Marko il tappezziere velaio, gli innamorati, Keko con il suo grill, Sasha con le sue pekka a Premuda…). Finalmente a bordo gli strumenti di comunicazione servono solo per le loro funzioni di base: meteo, dire a casa che stai bene, fare una foto ogni tanto, e niente più.