13 ottobre 2015. La Barcolana 2015 è finita, per noi. Uno spensierato sole accende di quiete il nostro pomeriggio, prima di farci scivolare tra dubbi e meraviglie della sera.
Fabrizio, Manu, Filo ed io abbiamo appena lasciato amici e famiglie sul Molo IV per iniziare la lunga navigazione che ci riporterà a Ravenna, domani. Lasciamo Trieste alle 16.30 passate, con un insolito e caldo sole sulla pelle e una piacevole e spensierata serenità addosso. Non ci è chiaro se è per l’ondata di fatiche ed emozioni che ci ha colpito come un’onda in faccia ieri (arrivando qui) e oggi (in regata); o per la sospensione di questa partenza che qui, davanti alle Rive e a tutta Trieste in festa, non è ancora né carne né pesce; o per la sciocca sospensione che ci vogliamo concedere (ma ce la meritiamo tutta!) prima di affrontare psicologicamente la realtà di un’imminente traversata notturna che ci riporterà alla vita di terra e al lavoro. Come spesso accade a bordo di Shasa, stiamo godendo a pieni polmoni di una cosa tanto bella quanto molto semplice: siamo qui, ora e adesso, e non vorremmo essere da nessun’altra parte.
Poi però il mare ti riporta alla realtà. O meglio: quello stesso mare che ieri ti ha portato le emozioni di una buriana decisamente umida e avventurosa, e ti ha coperto di acqua salata da testa a piedi e ha inondato Shasa e tutte le sue attrezzature. Quel mare che poi, asciugandosi, ha imbambolato di sale il povero timone automatico (per tutti noi “il Giapponese”, o “Giapu”). Fabrizio si mette all’opera e affronta il tentativo di riparazione come se fosse la millesima volta che lo fa (è la prima): apre l’involucro, conserva tutte le vitine, cerca di capire da che parte va guardato, prova a smuovere qualcosa, guarda bene i contatti (anche quelli dello spinotto) e li scrosta, richiude tutto facendo attenzione alla guarnizione, lo collega. Non va. Fabrizio ripete un’altra volta (è la seconda) tutta l’operazione, e stavolta lo inonda di “CRC facilitante elettrico” (mai partire senza!) e stavolta funziona, e lavora bene come fosse appena uscito dalla fabbrica.
Bastano 5 minuti di gloria, e quando manca poco a Punta Sottile ci prepariamo a mettere Shasa in assetto e zàcchete! Dobbiamo metterci alla cappa e ammainare la randa per sistemare una stecca telescopica non infilata. Io sto al timone, Fabri e Filo armeggiano tra albero, boma e balumina (ah, le gioie del velcro e dell’infilastecche!) mentre una gradevole bora inizia a farci rollare con decisione. Rimettiamo la prua a SW ma siccome oggi abbiamo avuto tanto e qualcosa dobbiamo pur restituire, zàcchete! Rifare tutto da capo! La stecca stavolta non è inserita bene nel carrello e potrebbe stracciare la vela. Cappa, ammainata di randa, e bla bla bla… Se ne va così quasi un’oretta, che dovremo recuperare sulla tabella di marcia.
All’imbrunire ritroviamo un po’ di triestinità. Mentre spazzoliamo panini di ottimo cotto triestino e tartine di liptauer ritroviamo chi è stato assente tutto il giorno: la Bora! Soffia già a 15 nodi e tra un po’ sarà anche aumentata. Ma, guarda che strano, oggi soffia proprio da poppa! E con il vento, zàcchete! Arrivano le onde. E anche loro, oggi, vengono proprio da dietro e ci sospingono verso la nostra destinazione. Aperto anche il genoa (il Mutandone), possiamo ridurre i giri del motore mantenendo comunque una velocità di crociera decisamente alta. Il solo problema è che quando le onde sollevano la poppa, colpendola leggermente di lato, spingono la barca all’orza, girandola di circa 20-25 gradi, e la combinazione di poppa sollevata e rotazione fa pure sbandare Shasa. E poiché arriva un’onda ogni 10 secondi, più che essere “leggermente disturbata” dalle onde, la nostra andatura è come quella di un ubriaco che fa lo slalom gigante tra un lampione e l’altro pensando di andare diritto.
È proprio questo il tipo di mare che può mettere in seria difficoltà il Giapponese. L’automatico è lento nel correggere le variazioni di rotta sotto l’onda, ma poi apre il timone quasi al massimo, insomma fa proprio un pessimo lavoro, mandandoci spesso quasi al traverso con la barca che a momenti si ferma. Bastano pochi minuti di questo serpenteggiare (e di pessime vibrazioni dei nostri sestisensi) e dobbiamo mandarlo sottocoperta a malincuore. Fabrizio prende il timone in mano e la differenza ora si sente: non solo restiamo in rotta, ma soprattutto la velocità è costante. Anzi, riduciamo ancora il motore e ciò nonostante andiamo davvero forte. Leggo il Log e cerco conferme sul Sog del GPS. Ma devo rileggerlo un altro paio di volte, perché non ci credo… 8.1 nodi. No, guarda, 8.5! Neanche avessimo lo spi aperto…
Fabrizio ci fa sbavare a queste velocità per qualche mezzora, poi abdica e raggiunge Manu sottocoperta perché, con la fatica e il poco sonno accumulati nelle ultime 48 ore, dobbiamo dormire tutti, e iniziamo i turni. Nonostante il vento e il mare siano cresciuti ancora un po’, è tutto tranquillo. Il timone è nelle mie mani, Filo è in pozzetto con me.
Il lavoro è semplice ma impegnativo: quando Shasa viene sollevata dalle onde a poppa devo trattenere la barra, facendo uno sforzo non indifferente, poi quando scivoliamo in avanti devo contrastare nell’altra direzione. Faccio questo per mezz’ora, poi per un’ora, e poi continuo ancora. Non sento più il braccio, la mia mano si è fusa insensibile con la barra e non riesco a riaprire le dita, e realizzo che sto timonando in automatico. Non devo pensare a cosa fare, le onde ci passano sotto senza disturbare Shasa più di tanto e, soprattutto, riusciamo a sfruttarle per accelerare. Direi che il vento sia girato e con Filo regoliamo un po’ randa e genoa, ma senza crederci davvero. Cerco un’improbabile conferma sul Log con una rapida occhiata e… no, dai, fammi dare un’altra occhiata… no vabbè, vediamo cosa dice il Gps? Cazzo, Filo! lo vedi anche tu? Il Sog dice 9.3 nodi. Non proprio costanti costanti, ma insomma… N-o-v-e-v-i-r-g-o-l-a-t-r-e nodi! È come aver raggiunto il muro del suono, su Shasa (dovrei aspettarmi di sentire il bang supersonico?).
Ma l’incredibile non ha fine, in questa notte davvero elettrica e veloce. È già da un po’ che Filo ed io siamo soli in pozzetto, in mare aperto. E tutto attorno è proprio buio pesto. Ma buio buio. Ma proprio buio buio buio. Stanotte infatti non c’è luna, e una lieve foschia ha cancellato l’orizzonte a 360° quindi, a parte le fioche luci di bordo e il bagliore dell’accendino ogni tanto, fuori da Shasa non c’è orizzonte, non ci sono riflessi sulle onde, non c’è niente! Se non si vedessero alcune manciate di stelle (fino a 30° sopra l’orizzonte), sarebbe come se Shasa fosse immersa in una vasca di deprivazione sensoriale. Una cosa a suo modo quasi perfetta.
Faccio mente locale per un attimo e mi rendo conto che Shasa mi sta portando in territori fantastici e finora inesplorati. Mi sembra di sognare ad occhi aperti… è da 3 ore che timono “in automatico” (neanche fossi il Giapponese!) surfando sulle onde, facendo volare letteralmente questa barca, in un’immeritata sintonia con mare, barca e vento (così mi pare) e lo so perché la mia mano muove la barra del timone come per effetto di un riflesso involontario, un riflesso condizionato da quel che percepisco “inconsciamente” dal mix di rumore della scia (è prezioso e utile!), dal vento su pelle e vele, dal movimento della barca e dalle stelle. Timono senza che debba pensarci su, e se invece ci penso e provo ad “applicarmi” finisce che mi distraggo e regalo al mare qualche grado di fuori rotta. Inoltre (gulp! Ma sto sognando o no?) è da ore che faccio la rotta usando come (flebile) riferimento non tanto la bussola (che è già scarsamente illuminata) o il Gps (il nuovo Lowrance D’Arabia, che non aiuta molto), ma soprattutto guardando le stelle! È incredibile. Nel senso che sono io il primo a non credere a quello che sto facendo. Ma è vero. Prendo la rotta guardando la bussola, poi mi scelgo un paio di stelle come riferimento rispetto alle sartie o alla prua e poi vado avanti così per qualche minuto, continuando a correggere l’arrivo delle onde per tenere la barca in assetto senza perdere la direzione, immerso nell’oscurità più totale che abbia mai visto in traversata.
Nella seconda metà della nostra rotta Fabrizio riemerge e ci teniamo compagnia per delle piacevoli mezzore. Troviamo un po’ di traffico, la bora scompare e il mare si spiana… Ricompare anche il riposato Giapu e prima io e poi Filo scendiamo a dormire. Mi addormento sognando quello che facevo, sempre sognando, fino a poco fa.
Riemergo dal tambuccio che fuori è chiaro da poco, attorno nebbiolina e poco vento, e siamo in vista di Ravenna. Manca un’oretta e chiacchieriamo un po’. Ringrazio Fabrizio per la fiducia di avermi lasciato il timone in mano e per il conseguente regalo vissuto in prima persona. E in silenzio ci prepariamo psicologicamente all’atterraggio definitivo, che concluderà questa incredibile Barcolana 2015 e ci restituirà alla vita normale (che tutto sommato, vista da qui, di “normale” ha poco). Non sono ancora le 7 che abbiamo già ormeggiato. Facciamo due calcoli e zàcchete! restiamo di stucco. Abbiamo tenuto una media forse mai vista prima da Fabrizio su Shasa lungo la rotta Trieste-Ravenna (95 miglia), compiuta in 13,5 ore (al netto dei tempi morti per le riparazioni varie nel Golfo di Trieste), ad una media (media!) di 7 nodi. Sette nodi, con punte di 9.3 e fasi Rem ad occhi aperti.
Camminando verso la macchina non possiamo voltarci per guardare indietro. Ma ringraziamo, molto.