Ravenna è dietro di noi. Siamo salpati 80 miglia fa, la prua su Trieste, in una bella serata carica di aspettative: andiamo a fare la Barcolana! Siamo pronti, Shasa è pulita e filante. Non vorremmo essere da nessun’altra parte. Anche se tra qualche ora qualcuno potrebbe dubitarne…
Venerdì 9 ottobre, in serata Manu e Filo, Fabrizio ed io siamo su Shasa. Giuliano, Lia, P. e le bimbe con A. li troveremo a Trieste. Il meteo non è proprio pessimo, ma la traversata non sarà una passeggiata. Sono previsti 20-25 nodi di bora (io è da giorni che gioco con ZyGrib), che saliranno a 35-40 in serata, quando speriamo di essere già arrivati a Trieste da qualche ora. Dobbiamo fare presto e arrivare il prima possibile per non trovarci in mezzo alla…
Mancano 12-15 miglia, siamo all’altezza di Punta Salvore. Alle prime luci dell’alba di sabato avevamo poggiato un po’ verso Nord per sfruttare qualche grado di apparente sulle vele, il Volvo pompa nelle nostre orecchie da sempre tanto che non lo sentiamo più. Ma appena mettiamo il naso fuori dalla costa nord dell’Istria, uno schiaffo ci colpisce nell’arco di pochi minuti.
La notte in traversata è una delle più tranquille che abbia mai visto. Ci coccoliamo con piade, birra, Laphroaigh e sigarette mentre intorno a noi il traffico di navone è quasi assente. Ci si annoierebbe tanto, ma siamo tra amici e ognuno fa la sua parte per tenere svegli i compagni, o per aiutare Manu a combattere i sintomi della naupatia. Dormiamo qualche ora a turno, e come sempre trovarsi là fuori a fare da sostituto di un vero comandante è un’esperienza che non si dimentica. Le ore passano lente, il cielo lentamente rischiara mentre facciamo appena in tempo a riconoscere gli ultimi giri del Faro della Vittoria, ad almeno venti miglia da noi. Trieste arriviamo!
Passata Punta Salvore intorno alle 8, la bora è cresciuta (è proprio Bora) e con essa il mare. Vento e onde vengono (c’è da chiederselo?) proprio da davanti a noi, gli stiamo andando incontro. Le onde dapprima erano di un metro, ora di uno e mezzo, e il vento (all’anima delle previsioni e dei file Grib, che Nettuno se li porti!) è decisamente più forte di quanto ci aspettassimo (questi non sono 20 nodi, tu e le tue previsioni inaffidabili!). E cresce ancora. Fabrizio ed io ci siamo messi le tute da alta quota, Manu e Filo se ne stanno ben rintanati sotto coperta. Mentre il motore prova a spingere tra una cresta e l’altra, prendiamo due mani di terzaroli e ci apprestiamo a ridurre il genoa a poco più di uno strofinaccio da cucina, quanto basta per dare qualche decimo di nodo.
In queste condizioni (per chi non sa cosa voglia dire), se il vento non dà tregua quello che ti ammazza sono le onde: le mastellate d’acqua e gli spruzzi che, sollevandosi a prua quando la barca entra nell’onda, prima ti vengono sparati in faccia dal vento (Windspray, per la casalinga moderna) e poi sotto il culo quando le decine di litri di acqua salsa ricadono e corrono sulla coperta. Le onde sono appena nate, quindi le creste sono particolarmente ravvicinate, e Shasa beccheggia e rolla come un adorabile toro meccanico, e noi siamo in groppa.
Con questo mare è impossibile usare il timone automatico, Fabrizio timona accoccolato in pozzetto con lo stich in mano. Io davanti a lui ogni tanto regolo le scotte o riduco il genoa. Mancano 8-9 miglia, che alla velocità di questa notte sarebbero al massimo due tempi di una partita di calcio. Invece, mentre vediamo Capodistria quasi al nostro traverso, stiamo avanzando a poco più di 3 nodi. Non passa mai, e ogni 5 secondi (puoi giurarci, vecchio cammello!) ci prendiamo una sonora secchiata, e almeno due volte ogni minuto siamo come gli ubriaconi che Tex scaraventa nella fontana.
Sembra non passare mai. Il tempo che ci separa da Trieste è lo stesso di tre ore fa, a questa velocità. Il vento aumenta ancora e ora fischia sulle sartie e abbassa la nostra temperatura di diversi gradi. Anche se siamo perfettamente impermeabili, il sudore si gela sulla pelle sotto i vestiti, le mani sono quasi insensibili nei guanti zuppi, qualche spruzzata d’acqua ogni tanto entra comunque dal collo della giacca. Il fisico è stressato da ore e ore di movimenti per tenersi in posizione o per schivare acqua e windspray. La mente segue a fil di ruota, inizi a dubitare di quello che stai facendo o vedendo (davvero, solo 2.7 nodi?!?). Nonostante la fatica e la tensione, c’è ancora la voglia di scherzare: “Beh, oggi è un giorno come un altro a bordo di Shasa, eh!” Che tradotto vuol dire: dentro di noi entrambi sappiamo che, nonostante tutto, non vorremmo essere da nessun’altra parte.
Siamo davanti a Punta Sottile (prendiamone nota), a sole 4,5 miglia dal Molo Audace e dalla fine di questo viaggio. Stiamo ballando da cinque ore, e riconosco Trieste e i suoi trabocchetti (la Ferriera NON è dove dobbiamo andare). Ma il bello deve ancora venire. Per quel poco che può andare avanti contro queste onde e questo vento implacabile e impressionante, portiamo Shasa dietro la 3a diga, sperando di trovare un po’ di riposo a ridosso del Porto Commerciale. Ho dovuto togliere gli occhiali qualche ora fa, perché il sale li aveva ricoperti di una patina impenetrabile rendendomi cieco. Tra gli spruzzi salati che mi martoriano le pupille intuisco Servola, lì sulla destra, e via Capodistria col Neuroresidence. Ma qui sul mare, anche se apparentemente non sta piovendo, l’aria è satura di windspray e non si vede quasi più niente: solo il mare che ribolle intorno e gli spruzzi spazzati dal vento sulle creste delle onde. Avanziamo lenti e stremati. Sembra di remare, tanta è la fatica fisica e tanto ormai la mente si è fusa con Shasa. La sua fatica è la nostra. Ma la sua resistenza anche, e ci lasciamo scorrere addosso indifferenti anche queste nuove tonnellate d’acqua, che ricadono a qualche metro dietro la poppa, spazzate via dal vento.
Ammiriamo attoniti le onde che spinte dalla Bora sovrappassano le dighe dall’interno verso il mare aperto, nel quale ricadono come salti d’acqua in un torrente. Cazzo. E’ un’immagine che dice tutto in una volta. Valutiamo l’ipotesi di entrare nel Porto Lido (vicino all’Ausonia e al Pedocin, vedo la nonna…), ma gli alberi delle barche ormeggiate lì sembrano dondolare come non mai. Ok, proseguiamo. E appena mettiamo il muso fuori dalla Lanterna, Bùm! Raffiche di Bora a 50 nodi si abbattono su Shasa e ci piantano. Siamo quasi immobili. Per tre volte controllo il Log. Dice 0,7 nodi. Zero-virgola-sette. Manca meno di un miglio all’arrivo, a questa velocità è un’ora. Un’ora per fare quatto fermate di 9, dal Pedocin a via Mazzini. Dopo un tempo infinito sfiliamo davanti al Molo Audace e ammainiamo la randa, ma non abbiamo la lucidità per immaginare come ci stanno guardando quegli spettatori che sfidando la bora se ne stanno là a veder arrivare questi pochi, ultimi, pazzi naufraghi.
Quando finalmente ormeggiamo al Molo IV, comunque esposti alla Bora e malamente supportati da ormeggiatori purtroppo inesperti per queste condizioni, sono le 16. Da Punta Sottile a Trieste ci abbiamo messo quasi 3 ore. Da Salvore, 8 ore (poco meno che da Ravenna a Salvore!).
Messo piede a terra, troviamo Giuliano e Lia che ci guardano come fossimo appena usciti da una lavatrice (un po’ è così). Ancora in preda all’adrenalina o a quel che è entro in città per recuperare A., P. e le bimbe al Caffè Tommaseo. Mi sento un cowboy impolverato che irrompe ad una cena di gran gala, ci scambiamo abracci sorridenti e parole di vero amore, in 3 minuti che non dimenticherò mai.
Mi fiondo di nuovo fuori, rotta verso la mamma e, avanzando a passo sicuro nella bora cittadina, sento attorno a me un alone nuovo. Una nuova pelle, salata, è cresciuta sopra quella vecchia.
Fhiuu..!! Stanca come se avessi scaricato un camion e tutta sudata solo per aver letto, con in più qualche spruzzata (pardon..!) di senso di colpa, dato che in quei vostri frangenti me ne stavo in panciolle, lillera lillera e ignara di tutto.
Mo’ però scalpito per leggere il seguito… 😉